Il valore delle parole
Ho fatto molta resistenza a scrivere questo post. Non mi sentivo adeguata, adatta, non sono una linguista, non sono una giornalista e nemmeno troppo brava ad usare le parole. Mischio due lingue costantemente e se ne sta infiltrando una terza, anche se molto lentamente e a fatica.
Poi è morta Michela Murgia, e ho letto il bellissimo articolo di Rosi Braidotti sul Corriere in ricordo della scrittrice in cui scrive:
“Io – italiana multiculturale e poliglotta, sempre a zonzo in mezzo a tante lingue – non potevo non ammirare il rapporto che Murgia aveva costruito con la sua lingua madre – e di quella, sì che ne aveva una sola. Lei che parlava e scriveva l’italiano nobile e dignitoso della classe dominante di questo paese, ma al contempo si staccava nettamente dall’arroganza, l’autoritarismo, il razzismo endemico e il sessismo ancestrale della classe sociale che questa lingua l’ha ingessata in formalismi sterile, privi d’amore. Murgia invece, questa lingua l’amava come solo la sanno amare quelli che sono nobili nell’anima e che rifiutano i legami di potere.”
Ecco, come dice Braidotti, l’italiano a volte risulta arrogante, intriso di razzismo endemico e sessismo ancestrale, soprattutto, secondo me, quando si parla di famiglia. Personalmente faccio molta fatica a usare alcuni termini senza sentire una sorta di pesantezza e di significati sottintesi che sono più legati alla nostra cultura che al significato della parola in sé.
La cultura cambia, però – e questa frase è quasi diventata un mantra- lentamente anche partendo dal linguaggio. Sbagliando e chiedendo scusa. Provando a dire cose e a discutere. Aprendo.
Di nuovo Braidotti scrive:
“ Tutto è politica, ma la politica è anche la cultura dell’allegria nel divenire collettivo. E una prassi che si costruisce rifiutando le polarizzazioni binarie e sospendendo il proprio giudizio inteso come fonte di negatività. Bisogna imparare a rispettare la complessità, memori di un dato di fatto imprescindibile: che qualsiasi progetto politico e intellettuale degno di tale nome comporta una bella dose di contraddizioni. E le contraddizioni non sono una tragedia, anzi – se condivise- spesso ci fanno proprio ridere.”
E’ con leggerezza, ironia ma soprattutto in condivisione che Francesca ed io vorremmo portare avanti questo progetto: collaborando, guardandoci attorno, creando prassi, pratiche e discorsi speriamo piene di contraddizioni e allegria.
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